L’Umbria entra ufficialmente a far parte della ZES Unica (Zona Economica Speciale) insieme alle Marche, con l’obiettivo di attrarre investimenti, accelerare le autorizzazioni e rilanciare un’economia in difficoltà. Per Luca Bianchi, direttore dello Svimez, si tratta di “un’opportunità per sperimentare un nuovo modello di sviluppo capace di rilanciare le aree in declino”, ma avverte: senza un’azione coordinata e settoriale, il rischio è che resti “un intervento spot”.
Secondo Bianchi, il riconoscimento fotografa anche una realtà complessa: “Il Lazio cresce trainato da Roma, mentre Umbria e Marche non riescono a recuperare un tasso di crescita significativo”. I dati confermano il declino: il PIL pro capite umbro è passato dal superare di oltre 20 punti la media UE nel 2000 a fermarsi oggi all’83%, mentre le Marche sono scese dal 116% al 91%. Sono le uniche due regioni italiane fuori dal Mezzogiorno con valori inferiori alla media europea.
La diagnosi economica di Svimez evidenzia debolezze strutturali: un tessuto industriale sotto pressione, mercati di sbocco fragili, export colpito da politiche protezionistiche e carenze infrastrutturali, soprattutto nei collegamenti est-ovest che limitano l’accesso ai porti e alle principali rotte commerciali.
ZES come leva di rilancio, ma con obiettivi precisi
L’esperienza nel Mezzogiorno mostra che la ZES Unica può funzionare, se accompagnata da settori di specializzazione chiari e investimenti infrastrutturali mirati. “Perché funzioni – sottolinea Bianchi – serve individuare interventi puntuali che rafforzino il tessuto industriale e turistico, e soprattutto un programma infrastrutturale che superi i divari logistici”.
Svimez indica due priorità operative: collegamenti ferroviari e stradali est-ovest per collegare l’Umbria ai porti adriatici e tirrenici in tempi competitivi; digitalizzazione e innovazione per sostenere le filiere manifatturiere e attrarre investimenti tecnologici.
Bianchi pone l’accento anche sulle aree interne, colpite da spopolamento e indebolimento dei servizi essenziali: “Senza una politica di riequilibrio e un investimento straordinario, queste zone rischiano un abbandono irreversibile”.
Per evitare concorrenza interna, Bianchi auspica un approccio condiviso: “Umbria e Marche devono puntare su complementarità e non su competizione. Solo un modello integrato basato su innovazione e valorizzazione delle vocazioni territoriali potrà invertire il trend”.
La sfida sarà duplice: garantire che la ZES Unica diventi uno strumento di politica industriale e non solo un incentivo fiscale, ed evitare la dispersione delle risorse in micro-interventi privi di impatto. Per questo, secondo Svimez, serve un tavolo permanente di monitoraggio tra governo, regioni e rappresentanze produttive, in grado di fissare obiettivi misurabili e verificare i risultati nel tempo.
Per l’Umbria, l’ingresso nella ZES Unica è un banco di prova: segna il riconoscimento di una crisi economica, ma apre anche a possibili margini di rilancio, a patto di unire incentivi, infrastrutture e politiche industriali mirate. Senza un progetto organico, l’iniziativa rischia di restare “un titolo di cronaca” e non un reale strumento di rinascita.