Un possibile impianto fotovoltaico nell’ex cementificio Colacem di Spoleto apre un nuovo capitolo sul futuro dell’area industriale dismessa, ma alimenta polemiche in consiglio comunale. La questione era emersa la scorsa settimana durante la risposta dell’assessora all’ambiente Agnese Protasi a un’interrogazione presentata da tutte le forze di opposizione, illustrata in aula dal consigliere Diego Catanossi (Spoleto 2030).
Al centro del dibattito la mancanza di un piano industriale ufficiale per il sito, atteso dal giugno 2022, e alcuni interventi in corso all’interno del perimetro aziendale. «Il privato non ha l’obbligo di presentare al Comune il piano industriale», ha chiarito l’assessora, “ci sono però stati dei confronti per cercare di capire le loro intenzioni su quel sito”.
Tra queste, sarebbe emersa l’ipotesi concreta di installare un impianto fotovoltaico Cer (Comunità energetica rinnovabile). “Colacem ha contattato gli uffici tecnici comunali per valutare la fattibilità”, ha spiegato Protasi, precisando che i lavori visibili nella zona sarebbero legati a rilievi tecnici e studi di fattibilità per l’eventuale installazione dei pannelli solari.
L’opposizione non ha accolto con favore la risposta, giudicandola evasiva e lontana dagli impegni assunti pubblicamente negli anni scorsi.
La stessa poisizione della Filca Cisl che con una dura nota a firma del segretario generale Emanuele Petrini, parla esplicitamente di “fallimento” che “depaupera il territorio” e accusa il Comune di non aver rispettato gli impegni presi anche pubblicamente sul rilancio del sito annunciando a mezzo stampa che entro Giugno dello stesso anno ci sarebbe stato la presentazione di un piano di rigenerazione del sito industriale. A distanza di tre anni – dice la Filca – riscontriamo che queste sono rimaste solo parole: non c’è stato infatti alcun esito positivo per il rilancio del sito”.
“Ricordiamo inoltre – prosegue Petrini – che prima della scadenza della concessione dell’escavazione della cava, si era palesata la proposta di un imprenditore rispetto ad un eventuale rilancio e alla riconversione del sito, con un impegno scritto di occupazione immediata tra diretti e indiretti di circa 70 persone. Un progetto che aveva come unica richiesta, la concessione dell’escavazione della cava di proprietà comunale. Ebbene, dopo colloqui con la società sul progetto da mettere in campo, il Comune ha deciso comunque di rinnovare la concessione alla Colacem senza avere in mano qualcosa di concreto, né un investimento che potesse garantito un reale ripristino del sito”.
“Vogliamo ricordare – prosegue ancora il sindacato – che per un Comune una cava è una ricchezza e un bene della collettività e quindi va valorizzata in tutta la sua filiera produttiva per creare ricchezza nel territorio, occupazione e sviluppo, cosa completamente opposta a ciò che ha fatto la Giunta. L’escavazione, in questi anni, ha prodotto poco o nulla per il territorio: poca occupazione e quasi tutta da fuori; sito produttivo chiuso e abbandonato. Questa è la realtà di ciò che è successo: tali scelte hanno determinato la morte economica di un pezzo del territorio. Ci chiediamo per quali motivazioni ed a scapito di chi o cosa”
“L’auspicio, come Filca Cisl Umbria è che l’amministrazione comunale di Spoleto abbia il coraggio rendere conto sul perché non sono stati mantenuti gli impegni presi: noi siamo disponibili ed aperti ad un confronto, purchè vengano messe in evidenza le vere responsabilità di questo fallimento. Fare politica significa lavorare per la collettività, compiendo a volte anche scelte difficili e complicate e non invece fare promesse per prendere tempo, ben sapendo che c’è già una volontà diversa condivisa”
Lo stabilimento ex Cementir di Spoleto, acquisito negli ultimi anni dal gruppo Colacem, è stato progressivamente dismesso: prima destinato alla lavorazione del clinker, (argilla e calcare, per la produzione del cemento Portland) è stato poi definitivamente chiuso, lasciando la struttura e le aree circostanti in uno stato di abbandono. Su 35 operai attivi, solo 8 sono stati riallocati nella sede centrale di Gubbio, mentre il resto dei lavoratori è rimasto senza occupazione locale.
La questione ha ovviamente portato un grave danno economico alla zona di Sant’Angelo in Mercole, un’area periferica di Spoleto, che si è trovata a fare i conti con l’abbandono di un’industria che per decenni aveva rappresentato una fonte di occupazione stabile.