In Umbria, i giovani lavoratori dipendenti del settore privato extra agricolo sono 70.416 nel 2023, in lieve crescita rispetto all’anno precedente (+1,6%), ma ancora distanti dalle dinamiche di crescita di Italia (+2,9%) e Nord Italia. La loro incidenza sul totale degli occupati del comparto privato è del 30,4%, inferiore alla media nazionale (32,6%) e settentrionale (33%). I dati emergono dall’ultima analisi di Agenzia Umbria Ricerche, elaborando i numeri dell’Istat.
La retribuzione media annua dei giovani umbri si ferma a 15.071 euro, un valore che rappresenta un gap del 7,8% rispetto alla media italiana e del 18,4% rispetto al Nord, con scarti in peggioramento rispetto al 2022. Anche tra i cosiddetti “lavoratori standard” (contratto a tempo indeterminato, full-time, 52 settimane retribuite), che rappresentano appena un terzo dei giovani umbri, il divario salariale resta elevato: 24.933 euro annui, ovvero quasi 4.000 euro in meno rispetto alla media nazionale e oltre 5.000 euro sotto la media del Nord.
Occupazione giovanile ancora troppo “operaia”
In Umbria, oltre la metà dei giovani dipendenti è operaia (51,3%), mentre la quota degli impiegati non supera il 25%. Nel Nord Italia, la situazione è ribaltata: impiegati al 43,3% e operai al 41,8%. I ruoli dirigenziali restano marginali (appena 8 giovani quadri in tutta la regione), mentre gli apprendisti pesano per il 24% del totale, quasi il doppio della media nazionale.
Questa polarizzazione verso mansioni a basso contenuto professionale riflette le caratteristiche del tessuto produttivo umbro, dove dominano settori tradizionali a scarsa intensità tecnologica. Il prolungamento della fase di ingresso nel mercato del lavoro e la difficoltà a transitare verso ruoli qualificati suggeriscono una debole capacità del sistema economico locale di valorizzare i giovani con studi medio-alti.
Divari salariali anche a parità di qualifica
Gli scarti retributivi in Umbria sono presenti anche a parità di ruolo e settore. I quadri umbri under 35 guadagnano il 26,4% in meno rispetto alla media italiana e il 28,6% rispetto al Nord, con differenze che possono superare i 19.000 euro annui. Le retribuzioni più basse si registrano nei comparti finanza, ICT, consulenza tecnica, commercio e servizi di ristorazione, mentre la sanità privata rappresenta un’eccezione positiva, con quadri che guadagnano fino a 25.000 euro in più rispetto alle controparti di altre regioni.
Tra gli operai, le penalizzazioni maggiori si concentrano nella manifattura e nei servizi di informazione e comunicazione. Tra gli impiegati, lo svantaggio è particolarmente marcato nelle attività professionali, scientifiche, tecniche e manifatturiere.
Un circolo vizioso che frena lo sviluppo
L’Umbria si distingue per un tessuto imprenditoriale meno dinamico, con bassa produttività e limitata capacità di remunerazione, soprattutto in settori ad alta intensità di capitale umano. La domanda di profili altamente qualificati resta contenuta, riducendo il valore economico delle competenze specialistiche e rendendo poco competitivi i salari dei giovani laureati.
Questa situazione innesca un processo di selezione negativa: i giovani più qualificati tendono a trasferirsi altrove, mentre restano sul territorio quelli con minori possibilità di mobilità o competenze meno richieste. Ne deriva una spirale negativa in cui la scarsa valorizzazione del capitale umano ostacola l’innovazione e la crescita economica del territorio.