Il gup di Perugia ha condannato a sette anni di carcere un uomo di 49 anni, cittadino romeno, accusato di aver abusato sessualmente della propria nipotina per un periodo stimato di almeno cinque anni. I fatti si sono svolti a Bastia Umbra, dove la minore – oggi tredicenne – viveva con la famiglia. L’uomo è stato arrestato a Roma nel gennaio dello scorso anno e si trova attualmente detenuto nel carcere di Regina Coeli.
Il procedimento si è svolto con rito abbreviato, con l’accusa rappresentata dal pubblico ministero Patrizia Mattei, che aveva chiesto una pena di dieci anni. Tuttavia, il giudice Margherita Amodeo ha riconosciuto all’imputato le attenuanti generiche, decidendo per una condanna ridotta a sette anni, accompagnata da interdizione perpetua dai pubblici uffici.
Decisive sono state le testimonianze della vittima, che ha ricostruito in aula gli anni di abusi subiti. Lo zio, secondo l’accusa, la minacciava costantemente, arrivando persino a creare un falso profilo WhatsApp con cui, fingendosi un mostro, le inviava messaggi e audio inquietanti in cui dei presunti “bambini defunti” la minacciavano di morte se avesse raccontato tutto.
I tentativi dell’uomo di eliminare le prove digitali si sono rivelati inutili. Durante l’indagine, gli inquirenti sono riusciti a ricostruire le chat cancellate e hanno scoperto materiale fotografico compromettente su altri minori, rafforzando ulteriormente il quadro probatorio.
Importanti anche le perizie biologiche effettuate sugli indumenti della ragazza e su alcuni oggetti rinvenuti nell’abitazione dell’imputato, che hanno confermato gli abusi. A completare il profilo accusatorio, è emerso che dopo la denuncia della nipote, l’uomo avrebbe tentato di comprare il silenzio dei familiari offrendo un’auto e del denaro. La famiglia, rappresentata dall’avvocato Delfo Berretti, ha rifiutato ogni proposta.
Il 49enne ha poi cercato di fuggire nel proprio Paese d’origine, ma è stato fermato e arrestato al suo rientro a Roma. La sentenza, pur riducendo la richiesta iniziale del pubblico ministero, conferma la gravità delle accuse e la solidità dell’impianto probatorio a carico dell’imputato.