Un tumore alla colecisti non diagnosticato correttamente ha condotto alla morte un’anziana di 85 anni, dopo cinque mesi di ricoveri, esami e cure rivelatesi inutili. È quanto emerge dalla denuncia presentata dal figlio della donna, medico chirurgo, che ha portato all’apertura di un fascicolo per omicidio colposo nei confronti di tredici medici, tra cui dodici professionisti dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia e il medico di base della paziente.
Secondo la ricostruzione contenuta nell’esposto, l’errore iniziale sarebbe stato commesso subito dopo il primo intervento chirurgico, quando i medici diagnosticarono una semplice infiammazione della cistifellea, senza procedere con l’esame istologico, ritenuto dalla famiglia «fondamentale per accertare la natura tumorale della lesione».
«Bastava un esame istologico per capire che si trattava di un carcinoma», sostiene il figlio della vittima, che chiede al giudice per le indagini preliminari di non archiviare il caso, come invece ha proposto il pubblico ministero Mario Formisano sulla base delle conclusioni della perizia tecnica disposta dalla procura.
La donna, ricoverata per la prima volta sei mesi prima del decesso avvenuto nel novembre 2021, avrebbe poi subito un secondo intervento, seguito da una diagnosi di tumore inoperabile al pancreas, anche questa ritenuta errata dalla famiglia. In quei mesi, secondo l’accusa, l’anziana avrebbe potuto ricevere cure appropriate, se il percorso clinico fosse stato gestito correttamente.
Nella denuncia si elencano una serie di inadempienze e sottovalutazioni che avrebbero condizionato l’intero iter terapeutico, dal mancato approfondimento iniziale fino alla diagnosi errata, passando per una gestione clinica definita “superficiale e incoerente” dai familiari. Tuttavia, a pesare sul procedimento è anche l’assenza di un’autopsia, che rende più complesso accertare con certezza il nesso tra gli eventuali errori e il decesso.
I legali dei medici coinvolti, tra cui gli avvocati Marco Brusco e Delfo Berretti, si sono detti fiduciosi nella richiesta di archiviazione, fondata sulle conclusioni del medico legale incaricato dalla procura. «Non emergono profili di negligenza o imperizia abnorme», ha scritto il consulente, aggiungendo che, anche con un diverso approccio terapeutico, «non si sarebbe potuto garantire un esito favorevole per la paziente».
Ora sarà il giudice per le indagini preliminari a decidere se accogliere la richiesta di archiviazione o disporre ulteriori accertamenti, come richiesto dalla parte offesa. Un verdetto atteso con grande attenzione dalla famiglia della vittima, che continua a chiedere verità e giustizia per una vicenda che pone interrogativi importanti sulla gestione dei percorsi diagnostici e sull’appropriatezza delle cure in ambito ospedaliero.