Negli ultimi dieci anni, l’Italia ha visto una crescita delle imprese guidate da stranieri, mentre quelle italiane sono in declino. Secondo l’Ufficio Studi della CGIA, le aziende con titolari nati all’estero sono aumentate del 29,5 percento (+133.734 unità), mentre quelle italiane sono diminuite del 4,7% (-222.241 unità). Attualmente, 11,5% delle aziende italiane è gestito da stranieri. Lo dice la Cgia di Mestre, elaborando i dati di Unioncamere.
Particolarmente significativo – relativamente all’Umbria, il dato del ternano: negli ultimi 10 anni – dal 2013 al 2023 – le partite Iva straniere sono cresciute di 754 unità arrivando a 2601, con una crescita del 40 percento. Nel frattempo hanno chiuso bottega 2.313 italiani, con un saldo negativo di 1.647. Perugia ha perso 7.869 lavoratori autonomi italiani, mentre quelli stranieri sono aumentati di 1468 unità (dunque in totale 6620 imprenditori in meno). In tutto la provincia conta ad oggi 9000 attività gestite da persone che non sono nate in Italia, con un aumento del 19,5 percento in dieci anni. Sempre su base decennale, in Umbria, sono sparite oltre 10000 partite Iva italiane ma sono nate 2221 attività autonome straniere
Tra le motivazioni alla base del calo di aziende italiane, il trend demografico ha sicuramente giocato un ruolo. Tuttavia, la burocrazia complessa, i costi elevati, le tasse e la crescente precarietà economica stanno scoraggiando molti italiani dall’intraprendere l’attività imprenditoriale. Questa difficoltà è meno sentita dagli imprenditori stranieri, che sembrano percepire l’apertura di un’attività come un’opportunità di integrazione economica. La presenza straniera è visibile nelle città, dove i bazar, negozi di alimentari, mercati rionali e altri esercizi commerciali sono sempre più gestiti da imprenditori non italiani. Anche settori come edilizia e manifatturiero hanno una presenza crescente di stranieri tra i titolari.
Delle 105 province italiane, solo 7 hanno registrato un aumento degli imprenditori italiani rispetto a quelli stranieri negli ultimi dieci anni: Catania, Messina, Cosenza, Siracusa, Nuoro, Vibo Valentia e Palermo. Questo cambiamento ha portato molti esperti a parlare di un possibile “effetto sostituzione,” con le imprese straniere che gradualmente sostituiscono quelle italiane in alcuni settori. Gli imprenditori stranieri tendono inoltre a preferire il lavoro autonomo come forma di integrazione sociale, evitando il lavoro dipendente. Tuttavia, non mancano le critiche: secondo alcuni, le attività straniere in Italia a volte potrebbero nascondere pratiche come l’evasione fiscale o il commercio di merce contraffatta, danneggiando la concorrenza locale. Questa problematica richiede un monitoraggio attivo da parte delle autorità.
Il commercio e l’edilizia rappresentano i settori con il numero più alto di imprese straniere: quasi 195.000 stranieri sono attivi nel commercio, pari al 15,2% del settore, mentre l’edilizia ne conta 156.000, il 20,6% del totale. Questi due settori, con circa 351.000 attività, costituiscono il 60% delle imprese straniere presenti nel paese. Anche il settore della ristorazione e alloggio è in espansione, con 50.210 imprese a conduzione straniera, che coprono il 12,7% del totale nazionale.
Gli imprenditori stranieri in Italia provengono da diverse nazioni, con in testa i romeni (78.258) e i cinesi (78.114), seguiti da marocchini (66.386) e albanesi (61.586). Tra tutte le nazionalità, i moldavi hanno registrato la maggiore crescita, con un aumento del 127% rispetto a dieci anni fa, seguiti da pakistani (+107%) e ucraini (+91%). Ciascuna comunità si è concentrata in ambiti specifici: i marocchini nel commercio, i romeni nelle costruzioni e i cinesi nel settore manifatturiero e servizi di intrattenimento.