Trappole al mais per i cinghiali del vicino, guardia venatoria perde il porto d’armi

Un cacciatore del Perugino perde il porto d'armi e viene condannato al pagamento delle spese dopo aver attirato cinghiali con mais per caccia illegale.

Un cacciatore del Perugino, che operava anche come guardia faunistica venatoria si è visto sequestrare i fucili e revocare il porto d’armi dopo essere stato sorpreso a preparare trappole per i cinghiali vicino al suo luogo di lavoro. Ne riferisce Il Messaggero.  La Prefettura ha disposto il divieto di detenzione di armi e munizioni, mentre la Questura di Perugia ha revocato il porto d’armi a uso venatorio. I provvedimenti sono scattati dopo un sopralluogo della Forestale nell’aprile 2022, in seguito a diverse segnalazioni di caccia irregolare.

Le indagini hanno rivelato l’utilizzo di grandi quantità di mais per attirare i cinghiali, che l’uomo spargeva spesso nelle ore serali o nei giorni festivi nei pressi di una postazione di tiro. La procura di Perugia ha avviato un procedimento penale contro il cacciatore per foraggiamento illecito di fauna selvatica, ma il giudice ha deciso di archiviare il caso per “speciale tenuità del fatto”.

Tuttavia, l’uomo è stato successivamente sanzionato per possesso di munizioni vietate (utilizzava piombo invece di pallini atossici), confermando così una condotta non conforme alle norme venatorie. Il cacciatore ha presentato ricorso al Tar, contestando le sanzioni e sostenendo che non vi fossero elementi concreti a dimostrare la sua inaffidabilità nell’uso delle armi.

Il Tar, però, ha respinto il ricorso, ritenendo i provvedimenti adeguati e basati su fatti non necessariamente penalmente rilevanti. Il tribunale ha inoltre giudicato le competenze venatorie dell’uomo come un aggravante: “Essendo un cacciatore formato come guardia venatoria e particolarmente esperto, da lui si doveva pretendere una condotta irreprensibile”, si legge nella sentenza del 4 settembre.

La decisione finale ha confermato la revoca del porto d’armi e imposto al cacciatore il pagamento di oltre 1.500 euro di spese processuali al Ministero dell’Interno.

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